I crostacei comprendono migliaia di specie e possono variare molto nelle loro dimensioni. Sebbene nella maggior parte dei casi siano animali marini, non mancano esemplari di acqua dolce che soprattutto negli ultimi anni hanno avuto una diffusione notevole in campo acquariofilo. In generale essi fanno parte del genere Artropodi, in quanto muniti di zampe e di un carapace, ovvero l’elemento distintivo, che funge da protezione dell’intero corpo. Proprio la conformazione dell’esoscheletro determina la straordinaria adattabilità di questi animali a diverse situazioni ambientali. In linea generale, al di là delle differenze che possono emergere da specie a specie, il corpo dei crostacei ha dei segni distintivi comuni. Primo fra tutti il capo che è composto da cinque paia di appendici: le antennule, le antenne, le mandibole, le mascelle, le massille. Ognuno di questi elementi svolge le proprie funzioni in maniera egregia. Le antenne hanno la funzione di organi sensoriali, molto validi e delicati, invece le mandibole vengono utilizzate per la masticazione. Anche le mascelle e le massille sono organi masticatori addizionali che vengono comunque utilizzati in alcuni casi per la filtrazione dell’acqua. Per quanto riguarda il senso visivo, questo viene affidato a degli occhi composti posizionati sul capo, di solito su piccoli peduncoli mobili. Per quanto riguarda il resto del corpo, i crostacei sono formati da una serie di segmenti che possono variare per dimensioni e caratteristiche da specie a specie. Ma quello che accomuna tutti è l’importanza della corazza protettiva che posseggono, chiamata appunto esoscheletro.
Costituito prevalentemente da proteine, chetina e sali minerali, svolge l’importantissima funzione di proteggere i delicati organi interni. Sebbene questa funzione appaia come fondamentale, in molti casi può essere un forte limite alla crescita dell’animale. Infatti, quando il corpo interno inizia ad aumentare di dimensioni, l’esoscheletro non appare più calzante alle nuove necessità. È in questo momento che si rende necessario l’abbandono del vecchio carapace e la formazione di uno nuovo adatto alle nuove dimensioni. Questa delicata fase che i crostacei attraversano a fasi alterne viene chiamata muta: quando inizia il procedimento l’animale smette di nutrirsi ed inizia ad eliminare il calcio dal vecchio esoscheletro, mentre le cellule poste sotto quest’ultimo iniziano a formare il nuovo rivestimento. Quando la formazione risulta in stato avanzato si presenta la fessurazione del carapace, sintomo dell’imminente distacco. A questo punto avviene la muta vera e propria, poiché l’animale gonfia il proprio corpo con l’assorbimento dell’acqua e aiutandosi con le zampe sguscia via dal vecchio esoscheletro. Sono momenti delicati per l’animale, in quanto appare molto vulnerabile in quanto la protezione del nuovo involucro è del tutto assente, essendo questo ancora molle. Spesso durante queste fasi i crostacei si nascondono per bene evitando di incontrare predatori e pericoli che avrebbero decisamente la meglio su di loro. Fino a quando il nuovo rivestimento non tenderà a mineralizzarsi per bene grazie all’assorbimento di calcio, questa fase di allerta non terminerà. Una volta indurito per bene il nuovo esoscheletro il crostaceo tornerà molto attivo sia per quanto riguarda il nutrimento, sia per quanto riguarda tutte le altre attività in acquario.
Per quanto riguarda la riproduzione, in genere possiamo dire che i sessi sono separati, ma non mancano situazioni di soggetti ermafroditi. La maggior parte dei crostacei tende ad incubare le uova per poi privarsene solo dopo la schiusa. Altre ancora le espellono senza problemi o addirittura le nascondono nel substrato o in qualche superficie adiacente. A volte si rende necessario aspettare la muta dei soggetti femmine per permettere la fecondazione vera e propria delle uova. Una volta nati i piccoli crostacei sono in realtà delle minuscole larve e solo in seguito, con l’aggiunta di piccoli segmenti dell’esoscheletro, diventano più simili ai loro genitori. Dopo numerose altre mute, più frequenti poiché la velocità di crescita nello stato larvale è maggiore, assumono le caratteristiche dei propri genitori. Sicuramente la presenza di crostacei nel vostro acquario di acqua dolce tropicale vi permetterà di assistere a queste fasi della crescita in maniera diretta e sono sicuro che come è successo a me, vi appassionerete da subito nell’allevamento e nelle riproduzione di molte diverse specie.
Granchi d’acqua dolce
Interessantissimi ospiti per il vostro acquario, sono ad esempio crostacei tipici come i granchi che ben conosciamo nelle vesti marine. Nella realtà esistono diverse specie anche di acqua dolce e questo rende possibile la loro introduzione, sebbene sia necessario farlo con cautela e informarsi bene sulle abitudini di questi simpatici ospiti. I granchi sono crostacei decapodi, ovvero con la presenza di dieci zampe ed hanno il corpo sostanzialmente diviso in due sezioni distinte: il cefalotorace e l’addome. La prima è costituita dal carapace e ospita anche l’apparato masticatore, formato da due mandibole e due mascelle. Gli occhi sono posti su due peduncoli retrattili, ovvero che all’occasione possono essere protetti in due cavità del carapace stesso. Dallo stesso carapace dipartono gli arti: sono presenti in numero di cinque per lato, con l’ultimo paio che propone le famose chele utilizzate sia per difesa che per attività di predazione. Le altre quattro paia servono invece esclusivamente alla funzione motoria. La seconda sezione del corpo, ovvero l’addome, è sicuramente più molle e debole non avendo la protezione del carapace. In particolare, è molto importante questa sezione nelle femmine, in quanto l’addome contiene la sacca dove vengono incubate le uova e successivamente si rifugiano i piccoli appena nati. Molti sono i generi a disposizione dell’acquariofilo che voglia ospitarli in acquario dolce tropicale: il genere Uca tipico dei mangrovieti dove amano le acque salmastre; il genere Sesarma, diffuso nel sud-est asiatico adatto anche lui alle acque salmastre; il genere Cardisoma, provenienti dal sud America; il genere Gercarcinus, esemplari dell’arcipelago indonesiano; il genere Potamonautes proveniente dai laghi e fiumi africani. Qualsiasi specie decidiate di allevare, tenete conto che sebbene siano animali bellissimi da allevare ed osservare, in realtà sono abbastanza difficili da gestire. Innanzitutto l’acquario nella maggior parte dei casi deve essere un acquario dedicato a loro. Non sempre infatti la convivenza con piccoli pesci o altri invertebrati è così semplice. Non dimenticate infatti che le chele possono essere strumenti di offesa notevoli. Inoltre anche l’allestimento ha una certa complessità dovendo contemplare anche delle sezioni emerse dove il granchio possa riposare quando lo desidera. Il fondale dovrà permettere loro di scavare agilmente rifugi dove in genere amano sostare. Quindi se volete davvero dedicarvi al loro allevamento, fatelo in maniera esclusiva e costruite la vasca intorno a loro. Se invece pensate a qualche convivenza, consultate le schede o ricercate altre informazioni per essere certi che il granchio prescelto non sia un pericolo per gli altri abitanti dell’acquario. Fate attenzione anche alle loro dimensioni: un ruolo fondamentale può avere la dimensione della vasca che vi consentirà di dividere il territorio in maniera funzionale. Un’ultima avvertenza: fate attenzione anche alle piante, se ne avete, poiché la maggior parte di essi sono degli ottimi “giardinieri”.
Gamberi e gamberetti d’acqua dolce
Per quanto riguarda i gamberi o gamberetti d’acqua dolce, sicuramente possiamo affermare che rappresentano l’altro tipo di crostaceo di grande interesse in campo acquariofilo, soprattutto negli ultimi anni. Anche i gamberi sono decapodi come i granchi ed il loro corpo è diviso dalle due sezioni che già conosciamo: il cefalotorace, costituito dal capo e dal torace, e l’addome. Il primo è costituito da un carapace solido che protegge gli organi interni; è da esso che dipartono le cinque paia di zampe provviste anche di un paio di chele. Nel capo sono presenti numerosi organi di senso: occhi su peduncoli molto mobili e sottili antenne sensoriali, sia tattili che olfattive. La parte anteriore del capo si allunga in un prolungamento che prende nome di rostro e spesso la sua conformazione è utile per identificare diverse specie. L’addome, invece, ha delle caratteristiche diverse rispetto a quello di altri crostacei, in quanto ospita un prolungamento muscoloso protetto da una serie di placche articolate di esoscheletro. Questa coda del gambero è fondamentale per la sua locomozione ed ospita altre appendici fondamentali per molte atre ragioni. Infatti, spesso le uova fecondate vengono accolte proprio in questa parte del corpo e ossigenate con il movimento di queste appendici. Anche in questo caso numerose sono le specie a disposizione dell’acquariofilo per popolare il proprio acquario, ma anche in questo caso la prudenza è d’obbligo valendo le stesse indicazioni date precedentemente per i granchi. In definitiva anche in questo caso una vasca dedicata è sempre la soluzione migliore. Tanto per fare alcuni nomi questo è un piccolo elenco delle varie specie più comuni
Astacus leptodactylus: originario dell’est europa, dimensione 12 cm
Cambarellus montezumae: originario dei laghi interni del messico, dimensione 15 cm
Cambarellus shuffeldtii: originario del mississipi, piccolo crostaceo di 2-4 cm
Cambarellus zempoalensis: originario del Messico, dimensione 20 cm
Orconectes limosus: originario del nord-America, dimensione 20 cm
Pacifastacus leniusculus: originario del nord America, dimensione 16 cm
Procambarus alleni: originario della Florida, dimensione 15 cm
Procambarus clarkii: originario del nord-America (Luisiana), dimensione 20 cm
Procambarus cubensis: originario dell’isola di Cuba, dimensione 8 cm
Procambarus milleri: originario del sud della Florida, dimensioni 5 cm
Procambarus llamassi: originario del Messico, dimensione 20 cm
Una particolare attenzione meritano invece i gamberetti d’acqua dolce, ovvero tutte quelle specie di caridine e neocaridine che hanno dimensioni sicuramente inferiori rispetto ai gamberi veri e propri. Essi per le ridotte dimensioni si prestano meglio all’allevamento in acquario e non sono solo ottimi elementi per mantenere pulita la vasca dalle alghe di vario tipo, ma con i loro colori meravigliosi riescono a vivacizzare tutto l’ambiente. Da qualche anno ormai, anche in Italia, l’allevamento di questi simpatici crostacei è molto diffuso e sono state raccolte diverse informazioni derivate anche dalle esperienze dirette in materia di allevamento e riproduzione. Perciò, se ben informato, qualsiasi acquariofilo può cimentarsi in questa avventura. Di fatto non è complesso averle in vasca, purchè ci siano determinate condizioni. Innanzitutto la dimensione dell’acquario non è cruciale, e un caridinaio può essere allestito anche in un 10 lt. Inseritene un bel gruppetto, in quanto in pochi esemplari diventano timidi e si nascondono spesso: al contrario più numeroso è il gruppo maggiore possibilità avrete di vederle in giro per la vasca. Iniziate con almeno una decina di elementi in maniera tale da aumentare anche le probabilità di avere esemplari maschi e femmine all’interno del gruppo. In effetti non sempre è distinguibile il sesso delle caridine: avendo sessi separati nei casi delle Red cherry o di qualche altra specie, la colorazione più o meno intensa può essere un segno distintivo. In genere comunque, le femmine hanno sempre una dimensione maggiore e più tozza, con colorazione più omogenea e forte rispetto al maschio. Questo può essere una piccola indicazione di partenza. Molto più sicura è la distinzione basata sulla presenza della sacca ovarica (una sorta di macchiolina bianca) dietro la testa delle femmine, segno che di lì a poco delle uova verranno deposte nella parte inferiore del corpo. Infatti, la riproduzione non è così complicata come sembrerebbe. Una volta raggiunta la maturità sessuale (circa 3 mesi dalla nascita), se le condizioni sono buone, la femmina sposterà le uova tra i pleopodi e le ossigenerà continuamente. Tutto ciò avverrà per circa 20 o al massimo 30 giorni, dopodiché se la fecondazione del maschio è andata a buon fine nasceranno delle piccole larve, altrimenti la femmina lascerà cadere le uova man mano fino ad abbandonarle del tutto. Le larve, invece si nutriranno dei microrganismi presenti nelle radici delle piante o in prossimità degli arredi e delle concentrazioni di alghe in vasca. Inizieranno subito a cibarsi pur essendo facili prede di altri pesci. Ma state sicuri che se l’acquario è ben piantumato e vanta soprattutto una bella rappresentanza di qualche specie di muschio, non troveranno difficoltà a nascondersi e nutrirsi allo stesso tempo. Di volta in volta la vostra popolazione crescerà mese dopo mese ed avrete la certezza di avere in vasca gli esemplari più sani e resistenti. Per questo credo che non sia consigliabile la pratica di spostare la femmina con le uova in altra collocazione per salvare più elementi possibili alla nascita. Comunque, tra le specie che più comunemente sono in commercio per i nostri acquari menziono
Caridina Japonica
Neocaridina Heteropoda var. Red (Red Cherry)
Neocaridina Palmata
Neocaridina cf. zhangjiajiensis “White” (White Pearl)
Neocaridina cf. zhangjiajiensis “Blue” (Blue Pearl)
Caridina Cantonensis “Red Crystal”
Caridina Cantonensis “Biene”
Caridina Cantonensis “Tiger”
Caridina Breviata “Hummel”
Caridina Babaulti “Green”
Una pratica che mi permetto di sconsigliare è quelle delle ibridazioni facili e superficiali, in quanto quasi sempre si cerca di ottenere dei colori “diversi ed originali” da tali incroci, con la conseguenza che si otterranno individui sempre meno sani e sterili e che comunque finiranno per avere in prevalenza le caratteristiche della specie dominante tra le due. Sicuramente esistono possibilità di ibridazioni riconosciute, perciò se volete limitatevi a quelle, ma se volete il mio parere, la cosa migliore è dedicarsi ad una specie singola per volta.